Domani i cittadini di Taiwan si recheranno al voto. Avremo quindi un “primo assaggio” di quanto la geo-politica possa incidere sull’andamento dei mercati finanziari. L’esito più importante che ne scaturirà, infatti, sarà relativo alla volontà o meno dei circa 23 ML di abitanti di rimanere “agganciati” alla Cina o se, invece, a prevalere sarà la voglia di indipendentismo. Cosa che, ovviamente, non cambierà nulla a livello istituzionale: l’isola è e rimarrà una provincia cinese. Cosa diversa la questione puramente “politica”. E’ nota la posizione americana, vicina alle posizioni che incitano all’autonomia (anche se, formalmente, si parla di “rispetto della volontà popolare”). Non è un caso che Biden abbia deciso di inviare, non appena i seggi verranno chiusi, una delegazione. Comunque vada, c’è da aspettarsi un inasprimento delle polemiche: nel caso in cui dovesse vincere “l’ala” cinese, facile che si parli di “minacce” da parte del Governo cinese, al fine di minare la libertà di voto; laddove, invece, a vincere fosse chi predica l’autonomia, quasi certamente l’Amministrazione Usa non tarderà a dire la sua, non facendo passare inosservata la cosa. Se l’isola di fronte alle coste cinesi fosse deserta o non avesse alcuna valenza economica, le elezioni passerebbero inosservate (un po’ quelle del Buthan la settimana scorsa). Ma nel momento in cui è, di fatto, la “capitale mondiale” per la produzione di micro-chips (sempre più cruciali in un mondo dominato ogni giorno di più dall’Intelligenza artificiale), ecco che le cose cambiano. Delegazioni politiche da una parte, navi da guerra che attraversano il mare che circonda l’arcipelago di Taiwan dall’altra: insomma, il mondo è avvisato.
Alle vicende geo-politiche (la cui incidenza sui mercati finanziari è sempre difficile da quantificare, come le guerre in corso certificano) si aggiungono quelle squisitamente economico-finanziarie.
Ieri sono stati resi noti i dati sull’inflazione americana. Un po’ come successo, nei giorni precedenti, in Europa, viene confermata la tendenza ad una ripresa dei prezzi più sostenuta del previsto. Infatti, a dicembre i prezzi al consumo sono aumentati dello 0,3%, contro una previsione dello 0,2%, che ha portato l’aumento nell’anno 2023 al 3,4% (contro attese del 3,2%). Situazione analoga per il dato “core” (al netto delle componenti energetica ed alimentare), salito, su base annua, del 3,9% contro l’atteso 3,8%.
Immediate le reazioni sui mercati (anche se quelli Usa, verso fine giornata, hanno dato segnali di recupero, riportandosi sopra la parità).
Si infoltisce ogni giorno di più lo schieramento di chi pensa che nella riunione del 20 marzo, la seconda dell’anno, la FED non darà inizio alla fase di discesa dei tassi, cosa che i mercati, invece, avevano, nelle ultimissime settimane dell’anno appena terminato, iniziato a “scontare”, in special modo sui rendimenti obbligazionari. A prevalere, oggi, è un atteggiamento di maggior prudenza: se fino a pochi giorni fa si pensava che, almeno oltre oceano, avremmo potuto assistere a 5, se non addirittura 6, tagli dei tassi, oggi ci si ferma a 3. Il che significa, ipotizzando un taglio “lineare” pari, per ogni riduzione, allo 0,25%, una limatura dello 0,75%, contro il precedente 1,25-1,50%.
E’ naturale, quindi, che il “cammino” dei mercati proceda un po’ più a rilento e, magari, con qualche pausa. Pause che possono essere salutari: rifiatare un po’ fa meno anche agli atleti più allenati. Figuriamoci a mercati che, nel corso dell’anno scorso, hanno, in alcuni casi, corso non poco (basti pensare al Nasdaq, o al Nikkei giapponese o semplicemente al nostro MIB) o al settore obbligazionario, con rendimenti che, in alcuni casi, sono scesi anche del 30%, anche se poi sono risaliti un pochino (vd i nostri BTP, passati dal 5% al 3,50%, per poi tornare intorno al 3,80%, in cui si trovano oggi).
A prevalere, comunque, come più volte detto, è un, seppur più cauto, ottimismo di fondo, nella convinzione che sia le vicende geo-politiche, legate alle numerose tornare elettorali che si terranno quest’anno, sia quelle economiche, collegate all’eventualità di un atterraggio più o meno morbido della ripresa economica, non andranno a modificare né gli equilibri tra Stati né gli umori degli investitori. Conseguenza sarà che la marcia dovrebbe proseguire meno spedita rispetto a quanto abbiamo assistito nell’ultima parte dell’anno, cosa che, in prospettiva, potrebbe rivelarsi più positiva di quanto i numeri potrebbero far pensare, solidificando le basi da cui potrebbe iniziare una fase di nuovi, più significativi, rialzi.
Come detto, ieri seduta alla fine positiva, seppur marginalmente, per New York.
Nell’ultimo giorno di contrattazione della settimana, ancora positivo il Nikkei, in ulteriore crescita dell’1,50%, portando il rialzo della settimana a ben il 6,4%.
Più deboli i mercati cinesi: Shanghai perde circa lo 0,16%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng perde, al momento, lo 0,70%.
In calo anche il Kospi a Seul; in crescita, invece, l’India, con il Sensex di Mumbai a + 0,7%.
In nuovo rafforzamento il petrolio, alimentato dalle tensioni in medio-oriente (nella nottata si sono stati attacchi, da parte delle forze navali americane e della task-force inviata nel golfo verso il canale di Suez, ai guerriglieri Houthi), con il WTI passato a $ 73,63 (+ 2,14%).
Gas naturale Usa a $ 3,147 (+ 1,39%).
Oro a $ 2.042, in ripresa, questa mattina, dell’1,05%.
Stabile lo spread, che apre la giornata a 158,6 bp.
Btp al 3,80%. Il Tesoro ha comunicato i dettagli del positivo collocamento di martedì delle 2 emissioni (a 7 e 30 anni, con richieste per € 155 MD a fronte di un’offerta di 15 MD): è risultato che oltre l’80% delle richieste è pervenuto da investitori esteri.
Bund al 2,23%.
Treasury al 3,97%, in leggero calo.
€/$ a 1,0966.
Bitcoin a $ 45.888, dopo che ieri, per un attimo, aveva toccato i $ 49.000.
Ps: “cambio della guardia” a New York, Da ieri, infatti, Apple non è più la società più capitalizzata al mondo. Dopo che aveva superato i $ 3.000 MD di valore, il titolo, in questa prima parte dell’anno, è in calo di circa il 6,5%; da qui il calo a poco più di $ 2.850 MD. Superato da Microsoft, che invece è salita a $ 2.888 MD, premiata dalle scelte fatte nel campo dell’Intelligenza Artificiale (vd l’operazione in OpenAI, costata la bellezza di $ 13 MD).